Self Portrait è un album di Bob Dylan, pubblicato nel 1970 dalla Columbia Records.
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Self Portrait album in studio | |
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Artista | Bob Dylan |
Pubblicazione | 8 giugno 1970 |
Durata | 73:15 |
Dischi | 2 LP |
Tracce | 24 |
Genere | Country rock Folk rock |
Etichetta | Columbia Records |
Produttore | Bob Johnston |
Registrazione | 24 aprile 1969 - 30 marzo 1970 |
Note | n. 4 ![]() n. 1 ![]() |
Certificazioni | |
Dischi d'oro | 1 |
Bob Dylan - cronologia | |
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(1970) |
Self Portrait è una delle opere più controverse di Bob Dylan, a giudicare anche dalle infinite (e spesso contraddittorie) interpretazioni che ne sono state fatte. Persino il suo autore, dopo le pesantissime critiche ricevute (il disco era stato definito, dai più gentili, come un lavoro assolutamente mediocre, dai più schietti, francamente orribile oppure ancora peggio come recita una famosissima recensione della rivista Rolling Stone che inizia con le emblematiche parole: «Cos'è questa merda?!!?» («What is this shit?»)[1], nel giustificare questo suo ibrido folk-country interminabile, si era appellato ad una intenzionale volontà di "sorprendere", di "scioccare" i suoi fans, senza peraltro chiarire i dettagli di una simile operazione; ciò significa che a Self Portrait - essendo assolutamente inconcepibile pensare ad un'univoca lettura - si può guardare in due modi esattamente contrapposti: o come mistero di fede o come chiarissimo caso di istrionismo[senza fonte].
Per la stragrande maggioranza della critica, a stupire, in questo disco, è soprattutto la strutturazione pedante dei brani, l'uso reiterato di vocalismi troppo gravi o troppo acuti, l'abuso (o meglio l'enfatica esasperazione) d'una voce fin troppo nasale, la monotonia dei ritmi, considerati non solo posticci, ma anche diluiti, stiracchiati all'inverosimile, tanto è stato da qualcuno sollevato il sospetto, una volta sorbite tutte le tracce, che si sia trattato di un'unica indistinta gragnuola di ritornelli più che stantii, assolutamente avvilenti.
Al di là delle legittime opinioni personali, il discorso sul lavoro concettuale di questo disco viene necessariamente dopo il discorso specificatamente musicale: pertanto, quando parliamo di Wigwam o di Take a Message to Mary, non dobbiamo chiederci se si tratti o meno di una sfida all'ascoltatore, di una voluta monotonia, di uno studiato effetto naïf, perché altrimenti si perderebbe di vista il concetto fondamentale, cioè il giudizio musicale in senso stretto. In altri termini, bisogna sfatare ogni pretesa volontarietà dell'operazione che sta dietro Self Portrait e guardare al disco così come si presenta: soltanto così sarà possibile giudicare in maniera veridica quella che, a oltre trent'anni di distanza dalla sua pubblicazione, sembra più che altro una strana provocazione di un autore che vuol farsi irriconoscibile a chi credeva di averlo puntualmente identificato in una precisa categoria, e non un qualcosa di specificatamente progettuale.
Così, questo inedito Bob Dylan presagisce e in un certo modo performa la sua futura svolta degli anni settanta, sebbene ancora non se ne intraveda compiutamente alcunché di significativo. È proprio sotto questa prospettiva, però, che Self Portrait rappresenta una tappa fondamentale nella carriera dell'ex folksinger di Duluth, prima dei momenti memorabili di Tangled Up in Blue e di Knockin' on Heaven's Door.
Self Portrait venne fortemente criticato non solo per il livello delle esecuzioni e per la produzione enfatica delle tracce, ma anche per la scelta stessa delle canzoni incluse sull'album, non ritenute all'altezza.
Tuttavia, almeno uno dei brani ebbe una certa rivalutazione nel corso degli anni successivi. Scritta da Alfred Frank Beddoe (che era stato scoperto da Pete Seeger), Copper Kettle cattura la descrizione di un'esistenza idilliaca in campagna, dove un contrabbandiere di Whiskey può agire indisturbato al di fuori della legge.
Il biografo di Dylan Clinton Heylin scrisse: "Copper Kettle... tocca tutte le corde giuste... essendo una delle performance più coinvolgenti di tutto il repertorio di Dylan".[2] Copper Kettle era stata resa popolare da Joan Baez che ne aveva inserito una reinterpretazione nel suo album del 1962 Joan Baez in Concert.
Tra i brani originali presenti sull'album, lo strumentale Wigwam acquisì notorietà anni dopo quando venne incluso nella colonna sonora del film del 2001 I Tenenbaum. Living the Blues venne reinterpretata da Leon Redbone. Nel 2001, All the Tired Horses venne inserita nel film Blow.
L'unico brano del disco che possa essere considerato psichedelico anche solo alla lontana, è The Mighty Quinn (Quinn the Eskimo), traccia originariamente registrata nel 1967 durante le celebri versioni dei Basement Tapes, e pubblicata su singolo con gran successo nella versione dei Manfred Mann nel 1968. La versione di Self Portrait, comunque, non è la versione originale ma una incisione dal vivo tratta dall'esibizione di Dylan & The Band al festival dell'isola di Wight del 1969 (come anche altre tre canzoni presenti sull'album).
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