Essa è stata composta in occasione della grande diffusione di notizie da parte della propaganda fascista relative all'Etiopia e, in particolare, della schiavitù su parte della popolazione abissina. Tali notizie servirono in parte a giustificare l'intervento militare che, oltre a procurare all'Italia un "posto al sole" (ossia una propria colonia), doveva porre fine alla condizione così degradata della popolazione.
Origini e storia
Il bando De Bono che sopprimeva la schiavitù nel Tigrè. L'abolizione della schiavitù fu uno dei primi provvedimenti presi dal governo coloniale italiano in Etiopia
La canzone Faccetta nera celebra la colonizzazione e la cessazione dello sfruttamento del popolo abissino.
Nel 1935, mentre lo Stato maggiore dell'Esercito italiano prepara le operazioni militari in Abissinia, l'odierna Etiopia, incominciano a essere pubblicate notizie relative allo sfruttamento della schiavitù a cui era sottoposta la popolazione abissina, ed è appunto la liberazione dalla schiavitù il tema che la propaganda italiana vuole attribuire all'occupazione dell'Etiopia.
Il poeta romano Renato Micheli, in seguito alla lettura di tali notizie, scrive una composizione in romanesco con l'intenzione di presentarla al Festival della canzone romana del 1935. Intento della canzone era quello di decantare il colonialismo italiano nell'Africa orientale, esaltando la missione "civilizzatrice" di Roma attraverso il riferimento alla pratica del madamato, per cui le donne etiopi venivano ridotte in schiavitù dai militari italiani e abusate sessualmente.[2] Al Festival non se ne fa nulla, ma poco tempo dopo la canzone viene musicata dal maestro Mario Ruccione e conosce l'onore della ribalta al teatro Capranica, grazie all'interpretazione di Carlo Buti. Al cinema-teatro Quattro Fontane di Roma, Faccetta nera viene cantata dalla compagnia della Fougez. In scena compare in catene una giovane di colore, poi arriva la Fougez nelle vesti dell'Italia che la libera e le fa indossare una camicia nera.
La canzone viene inserita in molte riviste dell'epoca diventando popolarissima sin dai primi giorni dell'invasione[3], specie tra le truppe in partenza per l'invasione dell'Etiopia. In ogni caso, questa versione avrebbe già subito dei ritocchi rispetto a quella originale, che conteneva il verso «vendicheremo noi sullo straniero / i morti d'Adua e liberamo a te», non gradita al regime fascista in quanto riportava all'attenzione la disfatta italiana di Adua del 1896. I versi vennero cambiati col più generico «vendicheremo noi Camicie Nere / l'eroi caduti e liberamo a te».
Pur essendo, insieme a Giovinezza, la canzone più nota del ventennio fascista, è da sottolineare come al Regime questo brano non piacque: Benito Mussolini odiava Faccetta nera e tentò di farla bandire perché essa sembrava favorire il meticciato poiché inneggiava all'unione tra razze, cosa non concepibile nella sua "Italia imperiale" che presto avrebbe varato le leggi razziali. Tuttavia, ormai il motivetto era divenuto troppo popolare e così il dittatore dovette accontentarsi di censurarne qualche verso: venne espunta una strofa che definiva faccetta nera «sorella a noi» e «bella italiana»[4].
Successivamente, il comico e attore romano Gustavo Cacini vinse una causa per plagio musicale nei confronti di Mario Ruccione, poiché il ritornello «Faccetta nera, bell'abissina…» era persin troppo ispirato dalla sua «La vita è comica presa sul serio, perciò prendiamola come la va…»[5]. Avrà anche moltissime altre edizioni stampate e parecchi saranno gli editori e i compositori che se ne attribuiranno la paternità. Tra i tanti si ricordano Gustavo Cacini, ai quali la SIAE riconosce una percentuale sui diritti d'autore, e Giulio Razzi, maestro dei programmi radiofonici Rai ancora nel 1961[6]. Altri autori scriveranno canzoni dal titolo di Faccetta bianca per bilanciare il successo di Faccetta nera, ma senza riuscirvi; una di esse, musicata da Nicola Macedonio ed Eugenio Grio, descriveva una ragazza che saluta sul molo il fidanzato legionario in partenza per l'Africa[4].
Testimonianza di Ettore Bernabei riferita in Enrico Menduni, Televisione all'americana: fare e disfare gli italiani, in Annalisa Bini, Chiara Daniele, Silvio Pons, Farsi italiani. La costruzione dell'idea di nazione nell'Italia repubblicana, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 234
Bibliografia
AA.VV., Un secolo di canzoni - Roma, Parenti 1969.
G. Micheli, Storia della canzone romana - Roma, Newton&Compton 1989.
Pier Paolo Pasolini, Canzoniere italiano - Milano, Garzanti 1972.
G. Zanazzo, Canti popolari di Roma e del Lazio - Roma, Newton&Compton 1977.
G. Gigliozzi, La canzone romana - Roma, Newton&Compton 1999.
G. Sangiuliano, "Quando Roma cantava. Forma e vicenda della canzone romana", Joker, Novi Ligure, 2011.
G. Sangiuliano, "Il caso Faccetta nera", in Studi Romani, gennaio-giugno 2005, Roma.
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