La domenica delle salme è una canzone di Fabrizio De André inclusa nell'album Le nuvole (1990). Benché firmata indistintamente da De André e Mauro Pagani, come tutti gli altri frutti della loro collaborazione, i due autori non hanno nascosto che il primo fu essenzialmente autore del testo, mentre Pagani si occupò della musica. Pagani ricorda che, nella genesi del testo, De André compose in un insieme organico una serie di brevi frasi appuntate dai quotidiani nel corso dei due anni precedenti.
La domenica delle salme | |
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Artista | Fabrizio De André |
Autore/i | Fabrizio De André e Mauro Pagani |
Genere | Musica d'autore |
Stile | Canzone d'autore italiana |
Tempo (bpm) | Ballata |
Pubblicazione originale | |
Incisione | Le nuvole |
Data | 1990 |
Durata | 7'35" |
Il brano si aggiudicò la Targa Tenco alla Migliore Canzone nel 1991[1].
L'inizio del brano è costituito dall'esecuzione di buona parte di Giugno (da Le stagioni op.37a) di Pëtr Il'ič Čajkovskij da parte del pianista Andrea Carcano. La medesima esecuzione compare anche nel finale del brano Ottocento che fa sempre parte dell'album Le nuvole.
La canzone, insieme a Ottocento, sempre tratta dall'album Le nuvole, era il leitmotif della rubrica Italia bella, tenuta da Marco Messeri all'interno del programma televisivo Avanzi.
La musica è scritta con Mauro Pagani, come pure il testo, l'unico scritto da Pagani con De André.[2] Racconta Pagani:
«Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò. «Manca qualcosa, è tutto bello ma un po' troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all'Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza. |
(Mauro Pagani, 2006 [3]) |
Nel testo del brano De André cita il suo «illustre cugino de Andrade» in riferimento al poeta brasiliano Oswald de Andrade.
«Tra i molti poeti sudamericani che conosco, Oswald de Andrade è uno dei miei preferiti, probabilmente per quel suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico. E poi è dotato di un umorismo caustico difficilmente riscontrabile in altri poeti dei primi del Novecento.» |
(Fabrizio De André, 1990[4]) |
Un'altra citazione nel testo è per Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, paragonato al carbonaro Piero Maroncelli.
«Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale... Il riferimento poi all'amputazione della gamba, voleva essere anche un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri.» |
(Fabrizio De André[5]) |
Vengono inoltre citati i "palastilisti", con riferimento al PalaTrussardi di Milano, che prende appunto il nome da uno stilista ed è presente un atto d'accusa esplicito contro il mondo della musica e i colleghi cantautori divenuti secondo l'autore dei meri "servitori del potere", intrattenitori o fautori di cause di facciata: «voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio / coi pianoforti a tracolla / vestiti da Pinocchio / voi che avete cantato per i Longobardi[6] e per i centralisti / per l'Amazzonia e per la pecunia / nei palastilisti / e dai padri Maristi / voi avevate voci potenti / lingue allenate a battere il tamburo / voi avevate voci potenti / adatte per il vaffanculo».[7] Tra i cantanti a cui si allude, possibili anche due riferimenti diretti ad Antonello Venditti ed Edoardo Bennato, cantautori "politicamente impegnati" nel decennio precedente, con allusioni ironiche all'album di Bennato Burattino senza fili (ispirato al libro di Carlo Collodi) e al testo della canzone di Venditti Notte prima degli esami ("Io mi ricordo, quattro ragazzi con la chitarra / E un pianoforte sulla spalla").
«R. Volevamo esprimere il nostro disappunto nei confronti della democrazia che stava diventando sempre meno democrazia. Democrazia reale non lo è mai stata, ma almeno si poteva sperare che resistesse come democrazia formale e invece si sta scoprendo che è un'oligarchia. Lo sapevamo tutti, però nessuno si peritava di dirlo. È una canzone disperata di persone che credevano di poter vivere almeno in una democrazia e si sono accorte che questa democrazia non esisteva più. D. È dunque un atto d'accusa. R. Sicuramente, e lo è anche nei nostri confronti. C'è una tirata contro i cantautori che avevano una voce potente per il vaffanculo, e invece non l'hanno fatto a tempo debito. Io credo che in qualche maniera la canzone possa influire sulla coscienza sociale, almeno a livello epidermico, Noto che ci sono tante persone che vengono nel camerino alla fine di ogni spettacolo e che mi dicono: siamo cresciuti con le tue canzoni e abbiamo fatto crescere i nostri figli con le tue canzoni. E non so fino a che punto sia una cosa giusta. Credo che in qualche misura le canzoni possano orientare le persone a pensare in un determinato modo e a comportarsi di conseguenza.» |
(Fabrizio De André, 1993[8][9]) |
Sono presenti riferimenti a fatti di cronaca che hanno l'intento di porre l’attenzione sulla pericolosità dell’insorgere di gruppi estremisti di destra in Italia ed all'estero. Tra di essi all'inizio del brano è citato l'omicidio di un senzatetto ospite presso il Pio Albergo Trivulzio, nota casa di cura per gli anziani meno abbienti di Milano detta comunemente Baggina (da cui, due anni dopo la scrittura della canzone, partirà la prima inchiesta che porterà allo scandalo di Tangentopoli[10]), il quale fu bruciato vivo nel suo letto.[11] Il riferimento alla "scimmia del Quarto Reich" che "ballava la polka sopra il muro" fu invece così spiegato da De André: «Sono molto preoccupato, in Germania Est ci sono state violazioni di tombe ebraiche ed è una cosa che si sta diffondendo in tutta Europa; mi sembra un rigurgito nazista».[12]
Della canzone venne girato un videoclip diretto da Gabriele Salvatores, il primo dove appare De André stesso (riapparirà l'anno successivo nel video di Megu Megun diretto dallo stesso Salvatores, con un ancora non molto conosciuto Claudio Bisio protagonista del videoclip), nel quale le immagini, a volte molto crude e provocatorie (campi di concentramento, maiali, ripugnanti würstel, prostitute ed altro), spesso provenienti dallo schermo televisivo, accompagnano le taglienti e polemiche strofe, talvolta in modo enigmatico.[13]