Ma se ghe pensu (Ma se ci penso in italiano) è una storica canzone in lingua genovese. Scritta nel 1925, è divenuta d'uso tradizionale e simbolo della cultura musicale ligure.
Ma se ghe pensu | |
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Artista | |
Autore/i | Mario Cappello, Attilio Margutti |
Genere | Folk |
Esecuzioni notevoli | Gino Paoli, Mina, Bruno Lauzi, Natalino Otto, I Trilli, Gilberto Govi, Ricchi e Poveri, Antonella Ruggiero, Björn Casapietra, Massimo Ranieri |
Data | 1925 |
È stata eseguita da diversi artisti fra i quali: Gino Paoli, Mina nel 1967 e Gilberto Govi. Nel 2007 è stata incisa anche da Antonella Ruggiero, che già l'aveva cantata a Genova il 26 luglio 2004, in occasione della manifestazione canora Just Like a Woman, registrata nell'album Stralunato Recital Live. Durante la serata finale del Festival di Sanremo 2011 la canzone è stata eseguita sul palco del Teatro Ariston dal trio Massimo Ranieri, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Nel 2017 la cantante Francess ha fatto una versione in inglese col titolo " If I think home"
La canzone fu lanciata in un primo momento con il titolo Se ghe penso, senza la congiunzione iniziale "ma", aggiunta in un secondo momento.
La canzone è attribuita a Mario Cappello per i versi e la musica, con la collaborazione di Attilio Margutti.
L'anno di nascita del brano è il 1925. La prima interpretazione del brano fu quella del soprano Luisa Rondolotti, che lo cantò al Teatro Orfeo, sala genovese successivamente trasformata in cinematografo.
Erano gli anni in cui nasceva la canzone dialettale genovese, derivata degli antichi trallallero e che sarebbe poi sfociata nella scuola dei cantautori genovesi, passando prima attraverso lo swing dell'immediato dopoguerra di Natalino Otto e il gruppo degli urlatori anni sessanta di cui faceva parte il cantante con il saltino: Joe Sentieri[senza fonte].
La canzone narra la storia di un genovese emigrato in America Latina in cerca di fortuna, evento socialmente molto comune tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, che, ritrovatosi a pensare alla bellezza della sua città natale, sopraffatto dalla nostalgia, decide di farvi ritorno, contro il volere del figlio, ormai ambientatosi.
La canzone si apre con il riferimento alla povertà del protagonista, che è partito completamente squattrinato (sensa ûn-a palanca) per le Americhe, dove si è sistemato economicamente, e torna trent'anni dopo a Genova pur di rivedere la sua terra (E sensa tante cöse o l'è partïo, senza tanti indugi è partito), disinteressandosi del fatto che il figlio preferisca rimanere nel nuovo continente e partendo in un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio per formare di nuovo il suo nido a Genova.
Questa canzone, diventata un vero e proprio simbolo musicale della città di Genova e di tutto ciò che la riguarda (in maniera similare a quanto avvenuto a Milano con il brano O mia bela Madunina), descrive l'attaccamento dei genovesi alla propria città e contrasta lo stereotipo della loro avarizia, riconoscendogli valori più alti di quelli materiali: nel caso del protagonista, ad un iniziale desiderio di una condizione migliore (Aveva lottato per risparmiare e farsi la palazzina e il giardinetto), pian piano subentra la nostalgia che lo vince.
(In dialetto genovese)
«O l'êa partîo sénsa 'na palanca, |
(IT)
«Era partito senza un soldo, |
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