Le tre verità/Supermarket è il 12º singolo di Lucio Battisti, pubblicato il 27 ottobre 1971 dalla casa discografica Dischi Ricordi.
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Le tre verità singolo discografico | |
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Artista | Lucio Battisti |
Pubblicazione | 27 ottobre 1971 |
Durata | 9:46 |
Album di provenienza | Lucio Battisti Vol. 4 (lato A) Amore e non amore (lato B) |
Genere | Pop |
Etichetta | Dischi Ricordi SRL 10657 |
Produttore | Lucio Battisti e Mogol |
Registrazione | Studi Ricordi, Milano |
Velocità di rotazione | 45 giri |
Formati | 17,5 cm (7") |
Lucio Battisti - cronologia | |
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(1971) |
Pubblicato dopo il passaggio di Battisti alla Numero Uno, il singolo si trova a uscire quasi in contemporanea con La canzone del sole/Anche per te. Lo straordinario successo di vendite di quest'ultimo limita l'esito commerciale di Le tre verità,[senza fonte] che si ferma alla posizione n. 9 nelle classifiche settimanali.
Nel singolo sono contenuti i brani Le tre verità e Supermarket, brano già pubblicato nell'album Amore e non amore.
La copertina del disco è costituita da tre fotografie di Battisti affiancate orizzontalmente. Da sinistra a destra troviamo:[1]
Il singolo è stato il 64º più venduto del 1971 in Italia[2].
Entrambi i brani sono di Battisti-Mogol.
Le tre verità, composta nel 1971, è probabilmente uno tra i brani meno conosciuti nati dalla collaborazione fra Mogol e Lucio Battisti, dove l'amore di semplicità di quest'ultimo si esprime in una forma francamente strana a prima vista ma che nell'introduzione di chitarra anticipa di vent'anni netti caratteristiche proprie dello stoner e di un certo post-rock ora molto attuale.[senza fonte]
La canzone, come si può forse intuire dal titolo, parla del classico triangolo amoroso. Una prima peculiarità consiste nel fatto che Battisti canta la stessa melodia in tre differenti registri vocali: la prima volta in falsetto (interpretando la parte della donna), la seconda volta (l'altro) all'ottava inferiore, mentre la terza strofa (lui) viene eseguita nella stessa ottava della prima, ma in voce piena. Il primo esempio di questi cambi di ottava che può venire in mente è Father and son di Cat Stevens, ma andando indietro nel tempo si può anche ricordare Bandiera Gialla (The Pied Piper), nella quale Gianni Pettenati già nel 1966 esplorava questa idea.[senza fonte]
La ben nota frugalità battistiana, oltre che nell'utilizzare per tutto il brano un unico giro di accordi (ancorché molto elaborato) si nota anche nella melodia, che fa frequente uso di note ribattute.
Il brano è in tonalità di re maggiore; il suo metro è 4/4, e la struttura formale è la seguente:
Intro - Strofa - Strum1 - Strofa - Strum2 - Strofa - Outro (strum.)
|G/D | |D5+ | |Dm | | IV I i |E/D | |Eb/D | |D | | II bII I |Dm | |C/D | |Gm6/D | | i bVII iv |D | |Ddim | |D | | I
Questa è la parte principale del brano: è lunga 24 battute, ed è basata su un pedale inferiore di re. Come scritto sopra, l'introduzione presenta il giro armonico che poi verrà ripetuto in ogni strofa.
Fermandosi sull'arrangiamento, si nota che mentre la voce inferiore rimane ferma sul re, quella superiore scende cromaticamente. Più precisamente, la parte superiore esegue una scala cromatica lungo un intervallo di sesta maggiore, da si a re, con l'eccezione del mi bemolle, seguita da 6 battute di stasi. A questo punto, anche la successione accordale appare facilmente comprensibile: gli accordi sono stati scelti proprio per soddisfare questi vincoli nel movimento delle parti.
Oltre a questo, è interessante notare almeno due aspetti particolari dal punto di vista armonico.
Il primo è che il brano non inizia con la tonica, ma con la sottodominante. Inoltre, l'accordo si presenta in un rivolto: dovendo mantenere il pedale di re, non è infatti possibile lasciare la tonica come nota più bassa.
Il secondo punto riguarda la cadenza finale: terminare un brano con I-Idim-I sembrerebbe un controsenso, ma in realtà non c'è molta differenza con una cadenza relativamente comune nella musica rock, vale a dire I-bVI-I. Per passare infatti dal re diminuito al si bemolle, basta abbassare di mezzo tono il si presente nel primo accordo.
In tutto il brano c'è una continua tensione armonica tra la modalità maggiore e quella minore: infatti, oltre all'esplicito passaggio I - i, si fa spesso uso di accordi pertinenti alla tonalità di re minore (ad esempio, Gm6). Nonostante questo si può affermare che l'impianto complessivo del pezzo è basato su re maggiore.
|Do Do/Si |Do Do/Si |Do Do/Si |Re | Re: bVII I |Do Do/Si |Do Do/Si |Do Do/Si |Re | Re: bVII I | | | | |
L'intermezzo, puramente strumentale, è composto da una pseudocadenza bVII-i, cioè dalla sottotonica alla tonica. La vera cadenza vorrebbe che tra i due accordi venisse inserito il sol maggiore: e in effetti è rimasta una sua traccia, data dal si che si sente al basso (e che, se fosse appartenuto a un accordo di sol, avrebbe di nuovo dato un rivolto). C'è anche un episodio, più lungo nel secondo intermezzo, che si può definire rock progressivo: un po' di variazioni - accordi di settima maggiore e di nona - sull'onnipresente re maggiore.
Per terminare, una nota interessante che riguarda gli accenti musicali. È abbastanza noto che l'italiano mal si adatta alla musicalità rock che vorrebbe le parole accentate sull'ultima sillaba, come in effetti capita in francese (per ragioni fonetiche) o in inglese (perché ci sono molti monosillabi). Ed è per questo che molte canzoni italiane hanno il testo con verbi al futuro, dove le prime tre persone singolari sono appunto parole tronche (a-me-rò, a-me-rà) o hanno un dittongo che può essere cantato su una sillaba (a-me-rai). Guardando il testo della canzone senza fare troppa attenzione, sembra che la "regola del futuro" (con la sottoregola "o al limite si usino parole sdrucciole", che permette comunque di sfruttare gli accenti musicali secondari, come in a-ma-no) sia perfettamente seguita. Qui, invece, non è così. In realtà, Battisti prosegue il testo ben oltre la nota dove casca l'accento musicale. Si comincia infatti con una sdrucciola (cre-di-mi), per arrivare all'equivalente di una bisdrucciola (mia vo-lon-tà). Già qui si nota tra l'altro come l'accento musicale non coincida affatto con quello testuale: in italiano non si usa infatti accentare un aggettivo[senza fonte]. Si arriva infine al climax della seconda strofa: a un certo punto (le_ho già be-vu-te_o-ra-mai) abbiamo sei sillabe che seguono quella accentata. Arrigo Boito, che inventò una quartina di "endecasillabi" con rime "stalattitificanomisi / stalagmitificanomisi", l'avrebbe certamente apprezzato.
Anche quando Mogol ha usato delle "semplici" sdrucciole, però, Battisti non le ha musicate nella maniera standard pop-rock, vale a dire con l'accento principale nel primo quarto e col secondario nel terzo: ha scelto invece di riprendendere il ritmo dell'obbligato dell'arpeggio iniziale, ponendo gli accenti in prevalenza sul terzo quarto della battuta, e facendo uso della figurazione ritmica dell'anapesto, che dà un forte senso di sospensione.
Si tratta di un brano musicalmente abbastanza semplice, registrato praticamente in presa diretta ed eseguito da Battisti con l'accompagnamento della sola chitarra; le parti percussive sui tempi forti, che potrebbero far pensare alla presenza di una batteria o di strumenti simili, sono invece le scarpe di Battisti che battono a ritmo contro un pezzo di legno. Le uniche aggiunte in post-produzione riguardano alcuni rumori udibili all'inizio ed alla fine del brano (e che rimangono in sottofondo per buona parte di esso), in cui si sente Battisti che dice "Vai, vai... È andata via, che è successo?" ed altre voci indistinte, a rappresentare probabilmente il rumore di sottofondo del supermercato dove si ambienta la storia. Merita una nota l'interpretazione vocale di Battisti, che in corrispondenza dei discorsi diretti modifica il tono della propria voce per imitare prima la voce del direttore del supermercato, e poi della fidanzata, quasi fosse un attore. L'ultimo minuto della canzone è occupato dai virtuosismi di Battisti alla chitarra, in cui il riff è ripetuto salendo sempre più di accordo.[senza fonte]
Il testo, con uno stile tra lo scherzoso, il grottesco ed il surreale, parla di una ragazza commessa in un supermercato che un giovedì si dà malata e non si reca al lavoro. Il fidanzato, che racconta la vicenda in prima persona, va a cercarla al supermercato ma non la trova; il giorno dopo vi fa ritorno per chiederle spiegazioni e, scoprendo che nell'assenza lei lo ha tradito, decide di lasciarla.
La protagonista femminile è caratterizzata con lo stesso stereotipo umano dell'invitata a cena nel brano Dio mio no: una donna sicura di sé, emancipata e sessualmente disinvolta. Al contrario il protagonista maschile è un rappresentante di quello che, nel suo saggio del 1979, Gianfranco Manfredi definiva il prototipo di "uomo primitivo" macho e poco acculturato che appare in molti testi di Mogol[3], qui accentuato anche da un errore grammaticale piuttosto evidente nelle parole che lui pronuncia («ma però», ripetuto in due diverse strofe), che non poteva essere sfuggito al paroliere.
Allusioni sessuali e riferimenti al potere alienante del consumismo si intrecciano nel breve testo della canzone: l'opulenza del supermercato diventa opprimente ed incapace di soddisfare i veri bisogni, o meglio impulsi ancestrali, dell'uomo che vi arriva per cercare la propria donna («scatolette colorate / carni rosa congelate / c'è di tutto intorno a me ma lei non c'è!»); vengono continuamente nominate le banane, come anche nella scusa riferita dalla donna per non essere stata al lavoro: quella di essere stata costretta a letto per aver mangiato troppe banane (allusione sessuale in senso lato, ulteriore riferimento agli eccessi del consumismo in senso letterale). Anche la pronuncia del titolo, ripetuto alternando due differenti accenti (supermàrket e supermarkèt), allude a un'altra parola ambigua (marchette, i gettoni che il cliente di un bordello usa per pagare una prostituta), parola che richiama sia il campo sessuale che quello economico. Infine, quando lui la lascia con l'accusa di averlo tradito, il ragionamento dell'uomo è influenzato al tempo stesso da un antico maschilismo e dalla moderna logica della società dei consumi, come se il loro rapporto d'amore fosse un acquisto del supermercato ormai non più conveniente (la donna non più vergine come un prodotto usa e getta ormai da buttare via): «costan troppo le banane e perciò / questo nostro grande amore, che sfortuna, oggi stesso finirà / per questioni vegetali, di risparmio, ed anche di praticità».
Il consumismo del nuovo mondo globalizzato e capitalista, dove tutto -anche il corpo femminile- si vende, si consuma e poi si butta via, viene così legato da Mogol al maschilismo del vecchio mondo retrogrado e provinciale, e posto in perfetta continuità con esso. Mogol, che già aveva scritto testi su temi come l'ambientalismo, tornerà a criticare il consumismo in più occasioni (la più evidente è Ma è un canto brasileiro).
Nel concept album Amore e non amore, Supermarket è inserito tra i brani che descrivono situazioni di non amore.
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