Storia di un impiegato è il sesto album di Fabrizio De André. Si tratta del quarto concept album pubblicato dal cantautore.
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Storia di un impiegato album in studio | |
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Artista | Fabrizio De André |
Pubblicazione | 2 ottobre 1973 |
Durata | 35:33 |
Dischi | 1 |
Tracce | 9 |
Genere | Musica d'autore Folk rock Rock progressivo |
Etichetta | Produttori Associati |
Produttore | Roberto Dané |
Registrazione | Studio Ortophonic di Roma, 1973 |
Velocità di rotazione | 33 giri |
Formati | Long Playing 30 cm[1] |
Altri formati | audiocassetta, stereo8 |
Note | Arrangiamenti e direzione d'orchestra di Nicola Piovani |
Certificazioni FIMI (dal 2009) | |
Dischi d'oro | ![]() (vendite: 25 000+) |
Fabrizio De André - cronologia | |
Album precedente (1971) Album successivo
(1974) |
«La "Storia di un impiegato" l'abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.» |
(Fabrizio De André in un'intervista dalla Domenica del Corriere del gennaio 1974[3]) |
Come accade spesso nei dischi di De André, le canzoni sono collegate fra di loro da un filo narrativo: in questo caso l'argomento ha una forte connotazione politica, in quanto si tratta della storia di un giovane impiegato che, dopo aver ascoltato un canto del Maggio francese, entra in crisi e decide di ribellarsi, senza però rinunciare al suo individualismo. Le canzoni che seguono raccontano la sua presa di posizione solitaria, con un rapido (e onirico) succedersi dei fatti, poi l'esperienza fallimentare della violenza e infine, in carcere, la presa di coscienza del bisogno di una lotta comune. Altri temi trattati nel disco sono il Maggio francese e il terrorismo.[4]
Il disco viene comunque duramente attaccato dalla stampa musicale militante e vicina al movimento studentesco. Così viene recensito, ad esempio, da Simone Dessì:
«Storia di un impiegato è un disco tremendo: il tentativo, clamorosamente fallito, di dare un contenuto "politico" a un impianto musicale, culturale e linguistico assolutamente tradizionale, privo di qualunque sforzo di rinnovamento e di qualunque ripensamento autocritico: la canzone Il bombarolo è un esempio magistrale di insipienza culturale e politica» |
(Simone Dessì[5]) |
In anni più recenti è stato giudicato da Riccardo Bertoncelli come un disco «verboso, alla fine datato[6] »
Anche Enrico Deregibus ne dà un giudizio sostanzialmente negativo:
«L'album è sempre stato considerato, anche dal suo autore, come uno dei più confusi. La vena anarchica di De André deve fondersi con quella marxista di Bentivoglio, e spesso i punti di sutura e di contraddizione sono fin troppo evidenti. Non a caso è l'ultimo episodio della collaborazione tra i due» |
(Enrico Deregibus[7]) |
Un'altra recensione negativa è quella di Fiorella Gentile, apparsa su Ciao 2001:
«La musica presta il nome a qualcosa che a tratti sembra la colonna sonora di un film sulla mafia (con il sintetizzatore al posto dello scacciapensieri), a volte quella di un thrilling alla Dario Argento (con il basso che riproduce il battito cardiaco), altre recupera i toni alla Cohen e alla Guccini: ma rimane un prodotto scucito, che non ha più il vecchio incanto.» |
(Fiorella Gentile[8]) |
Anche il pubblico accoglie l'album in maniera negativa[9].
Proprio in occasione della pubblicazione del disco, Giorgio Gaber polemizza con De André, affermando che quest'ultimo abbia usato "un linguaggio da liceale che si è fermato a Dante, che fa dei bei temini, ma non si riesce a capire se sia liberale o extraparlamentare"[3]; De André risponderà a Gaber in occasione di un'intervista alla Domenica del Corriere del gennaio 1974, dichiarando: "Io stimo e ammiro Giorgio e mi spiace che lui, che si dichiara comunista, sia andato a raccontare queste cose al primo giornalista che ha incontrato. Poteva telefonarmi, farmi le sue osservazioni: ne avremmo discusso, ci saremmo confrontati. Così, invece, ha svilito ancora di più un mondo già tanto criticato"[3].
Delle canzoni del disco, solo Verranno a chiederti del nostro amore[10] viene inserita nel repertorio dal vivo dell'artista ligure negli anni a seguire[11]. Gli altri brani vennero eseguiti in concerto solo per qualche anno, ne è un esempio la Canzone del Maggio inserita nella scaletta del primo tour del 1975 o ancora La bomba in testa, Al ballo mascherato, Canzone del padre, Il bombarolo e Nella mia ora di libertà che vennero riproposti solo in alcune date del tour del 1976[12].
Il valore musicale del disco verrà riconosciuto compiutamente, da gran parte della critica, solo negli anni '90.[13]
Dopo un attacco strumentale che verrà ripreso in varie occasioni negli altri brani, viene introdotto il personaggio dell'impiegato, mentre osserva gli studenti ribelli del '68 (Lottavano così come si gioca / i cuccioli del maggio era normale...).
Il primo brano, Canzone del Maggio, è liberamente tratto da un canto del maggio francese del 1968 di Dominique Grange, il cui titolo è Chacun de vous est concerné[14]. Quando De André si mise in contatto con lei per pubblicare il pezzo, la cantante francese glielo regalò, non chiedendogli nemmeno i diritti d'autore.
Della Canzone del Maggio esiste una versione dal testo differente (e lontano dalla traduzione letterale dell'originale[7]), presentata a volte dal vivo dal cantautore genovese; di questa versione esiste una registrazione pubblicata dalla Produttori Associati in una cassetta antologica Stereo 8. Il ritornello di questa versione recita "Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo"; sono presenti inoltre altre differenze.
La canzone è stata reinterpretata nell'album Mille papaveri rossi da Alberto Cesa e i Cantovivo, mentre in Canti randagi è stata tradotta in Lombardo dai Barabàn.
In questa canzone l'impiegato si confronta con i sessantottini e si unisce idealmente ai giovani, seppur con cinque anni di ritardo, scegliendo però un approccio individualista e violento. La canzone inizia con l'impiegato che si dedica, in maniera passiva e rassegnata, al suo lavoro; in seguito, durante la canzone, vediamo una sua evoluzione interiore, dovuta alla visione dell'esempio dei giovani ribelli. A questi, a fine canzone, si unirà idealmente.[15]
Questa canzone rappresenta il primo sogno, la prima esperienza onirica nella quale l'impiegato, con l'esplosivo, farebbe saltare i simboli del potere e gli spiriti di Cristo, Maria, Dante Alighieri, dell'ammiraglio Nelson, del padre e della madre. Qui il potere è espresso in tutte le sfaccettature della società borghese: culturali, genitoriali, politiche e ideologiche, religiose ecc. L'intento è quello di togliere la maschera agli ipocriti, delegittimare il potere e colpire le istituzioni.
Il sogno continua e l'impiegato è sotto processo e smascherato dal giudice (Imputato ascolta, noi ti abbiamo ascoltato. Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo piantata tra l'aorta e l'intenzione), che gli fa notare come la bomba abbia rinnovato e alimentato il sistema; seguendo la sua personale brama di potere, l'impiegato ha infatti giudicato, giustiziato e ucciso i potenti per ritagliarsi un posto, divenendo l'unico simbolo potente.
La particolarità del brano è il testo, interamente recitato su una base ritmica, intervallato da parti orchestrali.
Il giudice ha concesso all'impiegato di scegliere una vita tranquilla e integrata, e questi decide di assumere il ruolo di suo padre, ben collocato nel suo posto tra "piccoli" e "grandi", scoprendo la miseria e l'inutilità della sua vita. L'ipocrisia e la fragilità della vita borghese, le paure bieche e piccole prendono il sopravvento fino a svegliarlo dal sogno.
La canzone è stata reinterpretata da Oliviero Malaspina nel concerto e nell'album Faber, amico fragile.
L'impiegato, mosso da motivazioni da disperato ("se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato"), prepara un ordigno con cui tenta di compiere un vero attentato, il cui unico effetto è metterlo in ridicolo, in particolare di fronte alla fidanzata, rivelando al tempo stesso la sua mania di protagonismo e la sua goffaggine.
Il brano si conclude esemplarmente con una ripresa dell'introduzione del disco.
La canzone è stata reinterpretata dal cantautore e attivista Luca Bassanese assieme alla Original Kocani Orkestar di Macedonia nell'album Al Mercato e nell'album Duemila papaveri rossi.[16]
L'impiegato, dal carcere, vede la sua donna intervistata, la vede schermirsi davanti ai giornali e ripensa al loro rapporto. Ora che sono separati dal carcere l'impiegato guarda alla donna e teme per il suo futuro, quasi rassegnato, chiedendole di prenderlo in mano e fare le proprie scelte con autonomia.
Il brano si intitolava in origine Lettera alla donna e venne composto per l'allora fidanzata Roberta, la stessa 'protagonista' di Giugno '73.[17] In un incontro pubblico il 10 luglio 2010 e nel successivo concerto del 12 luglio a Saluzzo, tuttavia, Cristiano De André, aprendo il proprio secondo tour "De André canta De André", in cui interpretava brani del padre Fabrizio, ha dichiarato che la canzone venne composta dal padre per la prima moglie (e madre di Cristiano) Enrica "Puny" Rignon e che egli poté assistere, pur dal buco della serratura, alla prima esecuzione del brano appena completato, nel cuore della notte, da parte di Fabrizio alla consorte, visibilmente commossa. La circostanza è stata confermata da Cristiano anche in una intervista, pubblicata su La Stampa, il successivo 22 luglio 2010.[18]
La canzone è stata reinterpretata da Eugenio Finardi nel concerto e nell'album Faber, amico fragile e da Lino Straulino nell'album Mille papaveri rossi.
L'impiegato, in carcere, compie la maturazione definitiva tra l'individualismo e le lotte collettive. La canzone parte con la rinuncia all'ora d'aria, descrive l'inutilità del carcere e la maturazione che porta il carcerato a "capire che non ci sono poteri buoni" e si conclude con il sequestro dei secondini da parte dei detenuti, nell'unica frase al plurale: la lotta non è più una sterile protesta individuale del protagonista ma una lotta collettiva che riprende il tema della Canzone del Maggio. Musicalmente, il brano riprende sia quest'ultima che La bomba in testa.
La canzone è stata reinterpretata da Frontiera nell'album Mille papaveri rossi e da Giovanni Truppi, Vinicio Capossela e Mauro Pagani nella serata dedicata alle cover del Festival di Sanremo 2022.
Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (ad eccezione di Sogno numero due), musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani.
Come il precedente Non al denaro non all'amore né al cielo, anche questo disco fu registrato negli studi Ortophonic di Roma, situati in piazza Euclide (ora si chiamano studi Forum Music Village)[19]; il tecnico del suono è Sergio Marcotulli, padre della pianista jazz Rita.
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